domenica 18 maggio 2008

15/05/2008

Ciao, papino.

mercoledì 14 maggio 2008

SE PUOI SENTIRMI

Io non prego quasi mai, solo nei momenti di necessità, con la stessa agnostica fiducia di chi stringe in mano un corno rosso. Fede? Spirito? A volte, con moderazione.
Ma ora è diverso.
Ora ho bisogno di credere che da qualche parte ci sia Qualcuno/Qualcosa davvero onnipotente e misericordioso, in grado di far guarire papà. Perché stando ai bollettini medici ci vorrebbe un miracolo.
Papà ha 79 anni. A giugno ne compie 80 e, prima che si ricoverasse, i preparativi per la festa del suo compleanno fervevano già.
Ma tanto ora l'età non conta, il tempo è sospeso. Come lui. Come noi, figli di un padre eccellente, che tra un bollettino medico e l'altro cerchiamo di farci passare ansia e disperazione con tutti i mezzi possibili.
Sospesi, ecco.
Non voglio che papà muoia, non sono pronta.
Sin da adesso scaccio via i ricordi quando penso a lui, perché mi sembra di trattarlo già da morto. Così cerco di non pensare a quando da bambina, anziché raccontare fiabe come tutti i papà, mi intratteneva con le trame delle Opere. Dove alla fine, come si sa, muoiono tutti suicidi o al massimo di tisi. Ma lui era attratto dalla musica. E poco importava se quasi sempre ci scappava il morto.
Andare con lui a teatro a vedere l'Opera è come portare un bimbo al circo. Gli brillano gli occhi tutto il tempo. Lui, da vero intenditore, preferisce vedere l'Opera dal loggione. Non gli interessano gli orpelli dei teatri, se ne frega, o se ne fotte, come direbbe lui, del palchetto o dei primi posti in platea. E noi, a Natale, stiamo lì, scomodi ma felici, a vedere Rigoletto o la sua Opera preferita, la Lucia di Lammermoor.
Per una beffarda coincidenza, o almeno voglio credere che sia così, mi viene in mente proprio adesso che quando ero proprio piccina lui mi chiamava Pipolo. Che strano, erano anni che non ci pensavo più.
No, non sono pronta.





sabato 10 maggio 2008

SOLO VENTO E NUVOLE VUOTE. Ovvero l'insostenibile peso della sconfitta

Perché non riesco a dormire più se non fino alle luci dell'alba. Poi, è tutto un girarsi e rigirarsi in un letto di spilli. E pensare, pensare, pensare.... fino al trillo della sveglia, che mette fine al travaglio ma segna l'inizio di un'altra giornata di ansia e fatica.
Perché non riesco a godere dei pochi attimi di distrazione. Mi riesce difficile e per questo mi assale un inarrestabile senso di colpa. Anche e soprattutto verso quelle persone che sul mio "buonumore" basano la loro serenità.
Perché non sono all'altezza del mio compito e deludere le aspettative è il mio incubo sin da quando andavo alle elementari. Per questo la frustrazione è uno stato d'animo che da qualche mese prevale su tutti gli altri.
Perché sono emotivamente distrutta, incapace di elaborare con equilibrio qualsiasi accadimento, anche il più banale. E questo non mi piace, io non ero così. Ho fatto fuori un altro dei miei pochi lati buoni.
Perché perseverare nell'inutile ricerca della serenità è solo tempo perso. Forse la serenità non appartiene a questa vita. O almeno non alla mia. Ma non è facile abituarsi (o arrendersi?) all'idea.
Perché ad un certo punto non ho più capito se è ciò che mi accade intorno che determina la mia insoddisfazione (ho paura di dire infelicità), oppure se il problema è dentro di me, nella mia incapacità di gestire il senso di responsabilità con professionale distacco.
Perché sono certa che questo stato di cose prenderà la forma di una malattia degenerativa e che tutte le conseguenze si ripercuoteranno sugli altri settori della mia vita. Non posso certo pretendere che chi oggi mi ama abbia la pazienza di aspettare che io "guarisca". Sarebbe inutile, io non guarirò.
Perché ho capito di avere sbagliato tutto, di avere per l'ennesima volta peccato di presunzione pensando di essere all'altezza di un compito che non saprò mai portare a termine con successo. Arranco, annaspo ma non riesco. Finora ho solo dato il massimo ottenendo il minimo. E in mezzo ci sta pure qualche danno.
Perché pensavo che liberarmi di Lei mi avrebbe liberata anche dalle catene. E invece, di catene, ho solo cambiato marca e modello. Sbagliando pure l'affare perché almeno prima le condividevo con delle persone che sentivano per me affetto sincero e ora, invece, il peso è tutto sulle mie spalle.
Perché di ventiquattro ore giornaliere ne passo solo due in uno stato di semi-quiete, sette in un notturno coma vigile e le altre quindici sgomitando e avvilendomi sul lavoro sorretta solo da 15 gocce di Lexotan. E questo non va affatto bene.
Perché vorrei cambiare l'ordine di priorità della mia vita ma non ne sono capace. E la famiglia o gli affetti in generale diventano un onere, un problema in più o una distrazione dal lavoro che non posso concedermi. Per dire: due giorni fa mio padre mi ha telefonato per dirmi che dovrà subire un intervento chirurgico molto delicato e io gli ho quasi chiuso il telefono in faccia perché il Capo mi chiamava urlando dal suo ufficio.
Perché nonostante tutto questo impegno, questa incrollabile abnegazione, i risultati sono invisibili e in alcuni casi addirittura nefasti. Non sono brava nel mio lavoro, ho solo vissuto di rendita e di buona reputazione. Penso di essere brava solo a vendermi, ma quest'abilità prima o poi porta qualcuno a fare cattivi affari.

venerdì 2 maggio 2008

PRIMa MAnGIO

PROTESTIAMO

In attesa delle prossime (ennesime) consultazioni elettorali...
http://www.youtube.com/watch?v=H4TZPmQma-w