sabato 10 maggio 2008

SOLO VENTO E NUVOLE VUOTE. Ovvero l'insostenibile peso della sconfitta

Perché non riesco a dormire più se non fino alle luci dell'alba. Poi, è tutto un girarsi e rigirarsi in un letto di spilli. E pensare, pensare, pensare.... fino al trillo della sveglia, che mette fine al travaglio ma segna l'inizio di un'altra giornata di ansia e fatica.
Perché non riesco a godere dei pochi attimi di distrazione. Mi riesce difficile e per questo mi assale un inarrestabile senso di colpa. Anche e soprattutto verso quelle persone che sul mio "buonumore" basano la loro serenità.
Perché non sono all'altezza del mio compito e deludere le aspettative è il mio incubo sin da quando andavo alle elementari. Per questo la frustrazione è uno stato d'animo che da qualche mese prevale su tutti gli altri.
Perché sono emotivamente distrutta, incapace di elaborare con equilibrio qualsiasi accadimento, anche il più banale. E questo non mi piace, io non ero così. Ho fatto fuori un altro dei miei pochi lati buoni.
Perché perseverare nell'inutile ricerca della serenità è solo tempo perso. Forse la serenità non appartiene a questa vita. O almeno non alla mia. Ma non è facile abituarsi (o arrendersi?) all'idea.
Perché ad un certo punto non ho più capito se è ciò che mi accade intorno che determina la mia insoddisfazione (ho paura di dire infelicità), oppure se il problema è dentro di me, nella mia incapacità di gestire il senso di responsabilità con professionale distacco.
Perché sono certa che questo stato di cose prenderà la forma di una malattia degenerativa e che tutte le conseguenze si ripercuoteranno sugli altri settori della mia vita. Non posso certo pretendere che chi oggi mi ama abbia la pazienza di aspettare che io "guarisca". Sarebbe inutile, io non guarirò.
Perché ho capito di avere sbagliato tutto, di avere per l'ennesima volta peccato di presunzione pensando di essere all'altezza di un compito che non saprò mai portare a termine con successo. Arranco, annaspo ma non riesco. Finora ho solo dato il massimo ottenendo il minimo. E in mezzo ci sta pure qualche danno.
Perché pensavo che liberarmi di Lei mi avrebbe liberata anche dalle catene. E invece, di catene, ho solo cambiato marca e modello. Sbagliando pure l'affare perché almeno prima le condividevo con delle persone che sentivano per me affetto sincero e ora, invece, il peso è tutto sulle mie spalle.
Perché di ventiquattro ore giornaliere ne passo solo due in uno stato di semi-quiete, sette in un notturno coma vigile e le altre quindici sgomitando e avvilendomi sul lavoro sorretta solo da 15 gocce di Lexotan. E questo non va affatto bene.
Perché vorrei cambiare l'ordine di priorità della mia vita ma non ne sono capace. E la famiglia o gli affetti in generale diventano un onere, un problema in più o una distrazione dal lavoro che non posso concedermi. Per dire: due giorni fa mio padre mi ha telefonato per dirmi che dovrà subire un intervento chirurgico molto delicato e io gli ho quasi chiuso il telefono in faccia perché il Capo mi chiamava urlando dal suo ufficio.
Perché nonostante tutto questo impegno, questa incrollabile abnegazione, i risultati sono invisibili e in alcuni casi addirittura nefasti. Non sono brava nel mio lavoro, ho solo vissuto di rendita e di buona reputazione. Penso di essere brava solo a vendermi, ma quest'abilità prima o poi porta qualcuno a fare cattivi affari.

1 commento:

Anonimo ha detto...

La procrastinazione cronica non è "pigrizia" ma è un modo per evitare di confrontarsi con le proprie insicurezze, paure e limiti.